Gianluigi Trovesi, clarinetto piccolo e contralto
Fabio Piazzalunga, organo
Programma
PRELUDIO
Dietrich Buxtheude (Bad Oldesloe, 1637 – Lubecca, 1707)
Frammento da Præludium in sol maggiore BuxWV 149 – org. solo
ALBA
Gianluigi Trovesi (Nembro, 1944 -)
Alba del 12 ottobre “…somewhere” For a while
Henry Purcell (Londra, 1659 – 1695)
Musik for a while
Fabio Piazzalunga (Bergamo, 1969 – )
End for a while
AFFETTI
Gianluigi Trovesi
Ricercar vaghezza
Luca Marenzio (Coccaglio, 1533 – Roma, 1599)
Al primo vostro sguardo “…fui d’amoroso dardo”
Josquin Desprez ( ? 1450 circa – Condé-sur-l’Escaut, 1521)
El grillo“…è buon cantore” rielaborazione G. Trovesi, F. Piazzalunga
Claudio Monteverdi (Cremona, 1567 – Venezia, 1643)
Pur ti miro
Josquin Desprez
Mille Regretz
Gianluigi Trovesi
De vous abandoner
Adagietto Bergomasco
“…forza con la vostra bergamasca, e lasciate perdere l’epilogo”
DUELLO
Robert Morton (Moriton, c.a. 1430 – 1479)
L’homme armè “…doibt on doubter”
Guillaume Dufay ( ? 1397 – Cambrai, 1474)
Kyrie I da Missa L’Homme armé
Gianluigi Trovesi
L’ometto disarmato
DANZE – LA BERGAMASCA
Samuel Scheidt (Halle, 1587 – 1654)
Variazioni su “La Bergamasca” – org. solo
Gianluigi Trovesi
Nella villa
“folletti, dispetti, salamelecchi e baruffe”
POSTLUDIO
Gianluigi Trovesi – Fabio Piazzalunga
Che a mezzanotte “…più riluce intorno”
Francisco Soto de Langa (Langa, 1534 – Roma, 1619)
Nell’apparir del sempiterno sole
Note di Sala
Come una serie di Kinderszenen ‘à la Schumann’ o di improvvisi, o di notturni, la ventina di istantanee musicali raccolte in Che a mezzanotte… attinge a una dimensione della creatività giunta fino a noi dalle ormai remote lontananze di una ‘musica poetica’. L’idea del poetico si è sedimentato fin dentro la nostra età contemporanea come una forma di riscatto, un porsi al lato o al di sopra dell’ordinarietà del quotidiano, e il fiabesco è un suo campo d’azione: dove la logica allenta la sua morsa e le visioni si liberano dai vincoli di ciò che chiamiamo ‘realtà’. Tutti i brani contenuti in Che a mezzanotte… inducono quella assorta meraviglia con la quale si sta ad ascoltare una fiaba. A cominciare dalle sonorità a tratti sgargianti, a tratti spoglie, frugali, quasi dimesse, dell’organo suonato da Fabio Piazzalunga, e dalle melodie ridisegnate dai clarinetti di Gianluigi Trovesi (contralto e piccolo), spesso ripescate da una tradizione senza tempo, ormai. Al fiabesco come modalità del poetico fa da corollario, nell’armamentario teorico, letterario e retorico dei romantici, l’indagine sulle virtù rigeneranti dei paesaggi naturali. C’è anche un po’ di questo in Che a mezzanotte… I brani sono stati registrati nella Chiesa di San Giovanni Battista a Mezzoldo, un piccolo centro (duecento anime) abbarbicato sulle Alpi orobie a 880 metri di quota, lì dove si estendono complessi montuosi, boschi, prati, fumi, e chiese di ogni dimensione. In quei luoghi, una gloriosa tradizione di arte organaria vi ha disseminato strumenti di prim’ordine. La Chiesa di Mezzoldo ospita, oltre a una bella tavola di Lattanzio da Rimini (raffigurante San Pietro e i due San Giovanni), uno dei due organi ancora in uso di Luigi Parietti (1835-1890), strumento che per sua natura aspira ad allontanarsi dalle volumetrie sontuose e solenni degli organi tardo ottocenteschi, inclinando invece verso sonorità raccolte, talvolta anche ‘sporcate’ dalle articolazioni meccaniche dei tasti e della pedaliera, ma tali da istituire una particolare intimità con chi ascolta. Un suono cercato con cura, «‘genuino’, magari non perfetto, ma che avesse ancora un sapore popolare, nell’accezione più nobile del termine… che vivesse anche dei suoi naturali e splendidi rumori» (Piazzalunga).
Il fiabesco, dunque. In Che a mezzanotte… accadono eventi imprevisti e sorprendenti: ombre del passato si manifestano nell’atto di esser ricordate nel presente, il balenare improvviso di esperienze musicali già vissute si intrecciano e si riorganizzano secondo dimensioni musicali topiche (Affetti, Duello, Danze). Un’Alba e un Vespro indicano una data, il 12 ottobre. Ma quale 12 ottobre? Il 12 ottobre della scoperta dell’America (1492), quello del ritiro delle truppe americane dal Vietnam (1967), quello inesistente del calendario gregoriano del 1582, o qualcun altro degli innumerabili 12 ottobre della storia del mondo? Non è dato sapere. Un indizio ci viene dal Vespro (Vespro del 12 ottobre) e dal brano che segue e dà il titolo all’intero progetto, non a caso l’unico scritto a quattro mani, Che a mezzanotte…: è in quei moment, all’imbrunire e sul fnir del giorno, quando tuto appare sospeso, che lo scorrere cronometrico del tempo, o un tempo rigidamente scandito da un metronomo, mostrano tuta la loro meccanica assurdità; ed è nel buio della note, al magico scadere del giorno, quando tuto appare possibile, che il tempo può fermarsi e tornare su di sé; sicché all’Apparire del sempiterno sole tuto può ricominciare, ripetersi o variare, a seconda dei casi e degli estri.
Musiche conosciute, amate e tante volte riascoltate – di Buxtheude, Purcell, Marenzio, Monteverdi, Desprez, Dufay, Frescobaldi, Pasquini, Soto de Langa – riemergono dalla memoria, popolano e stimolano l’immaginazione. Compaiono, dialogano e si dileguano, per lasciar spazio ad
altre associazioni. A volte vengono semplicemente evocate, richiamate alla memoria, come accade in Musik for a while: la melodia dell’aria di Purcell (dalle musiche di scena per l’Edipo re di Sofocle) appare prima nella versione reinventata dal clarinetto di Trovesi, e poi nella sua forma più originaria. Il Pur t miro è una splendida, delicatissima trasposizione strumentale del celebre duetto che chiude La Coronazione di Poppea di Monteverdi. E un’operazione analoga vien realizzata per il madrigale di Marenzio, Al primo vostro sguardo. Il grado di elaborazione può variare, lasciando di tanto in tanto emergere quasi intatta la fisionomia della musica originaria, oppure, altre volte restituendola in forma più trasfigurata. Capita con Mille Regretz di Josquin Desprez, la cui bellezza suscitò trascrizioni e rielaborazioni già poco dopo la sua creazione, e con la conosciutissima frottola del medesimo compositore fiammingo, El grillo è buon cantore, dalla quale sono estratti frammenti, pur sempre assai riconoscibili, ma in ogni caso decontestualizzato dal loro originario solco melodico; capita ancora con la ‘follia’, che già di per sé è predisposta alla variazione, anzi, tanto più è variata, tanto più è fedele alla sua natura di basso armonico. C’è anche una componente ironica: un Ometto disarmato (composizione di Trovesi) fa capolino nella sezione dedicata ai ‘Duelli’, dove campeggia la celebre melodia L’homme armée sulla quale, nel corso del Cinquecento, si son scrite intere messe, e tra queste, la celeberrima di Dufay. E c’è infine l’orgoglio bergamasco (lo sono entrambi, bergamaschi, Trovesi e Piazzalunga): ad accompagnare la Bergamasca frescobaldiana, vengono richiamati nella track list non solo un’ammonizione del suo autore («Chi questa bergamasca sonarà, non pocho imparerà»), ma anche il suo riverbero nel Sogno di una note di mezza estate: «…gradireste veder l’epilogo, o ascoltare una danza bergamasca?… forza con la vostra bergamasca, e lasciate perdere l’epilogo»; che è prova di come quest’antica danza fosse già nota anche a Shakespeare. Il tutto è inframmezzato e incorniciato da composizioni autonome di Trovesi (Ricercar vaghezza, De Vous abandoner, L’ometto disarmato, Adagietto bergomasco, Nella villa, C’era una strega, c’era una fata, Vespro del 12 ottobre), a loro volta segnate da quelle presenze musicali di un passato che non passa.
E scorre come un flusso continuo, in cui si avvicendano moment di vitalità melodica, di statica contemplazione poetica, bassi ostinati, movimenti lenti e delicati, e fragorose esplosioni di suono. I clarinetti e l’organo Parietti giocano di continuo con le metamorfosi dei timbri, che a volte si fondono, anche mascherandosi l’uno nell’altro, altre volte si dissociano, quasi rimbalzano, e si allontanano. La caleidoscopica sequenza di immagini che così si genera, disegna i confini di un nuovo e moderno immaginario fiabesco, in cui il poetico, proprio in senso romantico e schumanniano, assume una persuasività tuta nuova, originale, straniante.